Il professor Paolo Bernardi ha iniziato i suoi studi sulla fisiologia mitocondriale e sul trasporto ionico sotto la guida di Giovanni Felice Azzone. La sua formazione in Biologia Cellulare e Molecolare è stata completata presso il Whitehead Institute for Biomedical Research del Massachusetts Institute of Technology con Harvey F. Lodish. 

Bernardi è un pioniere nel campo dei canali mitocondriali e del loro ruolo nella fisiopatologia cellulare. In particolare, si è concentrato sul poro di transizione della permeabilità (PTP), un canale ad alta conduttanza sempre più riconosciuto come un elemento chiave nella morte cellulare. All’inizio degli anni ’90 ha definito i punti chiave di regolazione del PTP in mitocondri isolati. Successivamente, ha sviluppato strumenti per monitorare in modo affidabile la funzione mitocondriale in situ, affrontando questioni meccanicistiche sul PTP come bersaglio nelle malattie degenerative e nel cancro (vedi articolo).

I suoi studi si sono estesi a modelli in vivo e hanno dimostrato che l’adattamento precoce dei mitocondri gioca un ruolo chiave nella epatocarcinogenesi (tumore causato da uno sviluppo incontrollato delle cellule dei tessuti del fegato) e nell’insorgenza dell’effetto Warburg (per approfondire); e che la disfunzione mitocondriale mediata dal PTP causa inaspettatamente distrofia muscolare in carenza di collagene VI. Questi studi hanno aperto la strada a una potenziale terapia della Distrofia Muscolare Congenita di Ullrich e della Miopatia di Bethlem con NIM811 (articolo per approfondire), un analogo non immunosoppressivo della ciclosporina A. La recente identificazione del PTP, che sembra originare da dimeri della ATP sintasi FOF1, offre grandi promesse per una ulteriore definizione molecolare del poro e della sua funzione nella salute e nella malattia. Lo sviluppo di nuovi inibitori chimici del PTP con potenziale utilizzo nelle malattie degenerative, finanziato dal NIH – National Institute of Health, è attualmente uno dei programmi di ricerca di maggior successo del laboratorio di Bernardi.

Paolo Bernardi, nel 1992, è stato uno dei pochi a comprendere l’importanza dei mitocondri nella morte cellulare, molto prima che il rilascio del citocromo c fosse dimostrato come un evento chiave nell’apoptosi. Ha fatto da pioniere nel campo, raggiungendo rapidamente un riconoscimento internazionale. 

  • Caro Professor Bernardi, sappiamo che dal primo ottobre andrai in pensione e lavorerai per un periodo di due mesi alla New York University. Per questo motivo, purtroppo, non sarai presente al raduno del 19 ottobre 2024. Come stai affrontando questa nuova tappa della vita?

Noi ricercatori non smetteremmo mai di lavorare! Facciamo un lavoro tanto appassionante e pieno di stimoli da non sentire il tempo che passa, e quando il tuo progetto ha serie ricadute sulla salute degli altri ti impegna ancora di più. È vero però che il turnover è indispensabile anche in ambito accademico. Il mio gruppo è comunque ancora molto attivo e comprende una bravissima dottoressa, Silvia Castagnaro, che si è formata nel gruppo del professor Bonaldo con cui ha pubblicato dei bellissimi lavori. Silvia è la responsabile principale del mio progetto finanziato da Telethon, volto a testare nuove molecole attive in modelli animali sia nella collagenopatia di tipo 6 che nella distrofia di Duchenne. Abbiamo pensato di estendere il range di applicabilità anche ad altre malattie neuromuscolari anche per espanderne il potenziale terapeutico e l’attrattività per l’industria farmaceutica.

Abbiamo anche iniziato una collaborazione con un gruppo di Losanna, in Svizzera, che ha grande esperienza in farmacocinetica e farmacodinamica, in modo da studiare la disponibilità biologica e la distribuzione di un nuovo farmaco sperimentale. Come requisito per mandare avanti il progetto è infatti indispensabile avere dati certi sui modelli mammiferi, ovvero i topi. Abbiamo avuto grandi risultati con lo zebrafish, però è richiesto un modello di mammifero dagli enti regolatori e dagli sponsor.

Questo team è lo stesso che lavorerà al Trial dell’Alisporivir – Debio 025.

  • Spiegaci, in primis, del tuo ruolo e quello del tuo team nella sperimentazione del Alisporivir – Debio 025 di Telethon.

La situazione dovrebbe essere in dirittura d’arrivo, nel senso che sono stati completati tutti i documenti necessari richiesti. Noi, come laboratorio di Padova, siamo pronti per lavorare a questa sperimentazione, che ricalcherà quella organizzata dal dottor Luciano Merlini per la sperimentazione della Ciclosporina A del 2008. Da una biopsia presa prima del trattamento e una dopo, studieremo la funzione mitocondriale ex vivo per verificare che ci sia il fenotipo che abbiamo sempre trovato e che risponda al trattamento in vitro. Una sorta di linea di base. Ma importante è che il prelievo servirà anche a fare una determinazione dell’apoptosi, cioè del numero di fibre danneggiate. Dall’altro lato, si vedranno le fibre rigeneranti perché avevamo imparato dallo studio con la Ciclosporina A che il trattamento non solo migliora la performance e diminuisce il numero di cellule che muoiono, ma migliora la rigenerazione nei campioni presi soprattutto nei bambini e nei giovani. Quindi, faremo questo test per avere una linea di base di ciascun paziente prima del trattamento.

Dopo il trattamento, ripeteremo lo stesso per vedere se il farmaco “colpisce il bersaglio” come nel caso della Ciclosporina A, osservando risultati nella rigenerazione e riduzione dell’apoptosi ovvero la perdita di cellule. Questi sono dati oggettivi perché possiamo misurare con precisione il numero di cellule e quindi l’effetto del farmaco nello stesso paziente. La dottoressa Silvia Castagnaro ha l’expertise necessaria per eseguire e interpretare i risultati. Io resterò nel Dipartimento come consulente, ve lo prometto, e questo trial resterà una delle mie priorità! Lo sento come una responsabilità morale.

  • Cosa ne pensi dell’anzianità di Alisporivir – Debio 025 cioè che è stato prodotto anni fa ed è lì fermo in deposito?

Nella nostra esperienza il farmaco, che ha una struttura ciclica, è molto stabile e non tende a degradarsi nel tempo. Il mio laboratorio sta usando campioni di questo farmaco da anni e io sinceramente non credo che ci sia alcun problema. Appena sarà disponibile quello che si userà nei pazienti del Trial faremo comunque una prova per confermare l’efficacia in vitro che si esegue in una giornata. In vitro abbiamo visto che si può usare anche a distanza di anni e io ho ancora in laboratorio i campioni originali della Debiopharm con cui abbiamo iniziato lo studio!

  • Come è stata scoperta la molecola di Alisporivir – Debio 025?

Tutto è iniziato con l’HIV nel 1992, quando un ricercatore molto bravo scoprì che somministrando la Ciclosporina A in vitro si rendeva molto difficile la replicazione del virus HIV. La questione era che non si poteva dare la Ciclosporina ai pazienti con HIV perché erano già immunodepressi. Qualcuno della Debiopharm ebbe l’idea di produrre delle Ciclosporine senza effetto immunosoppressore per vedere se potevano essere usate nella terapia dell’HIV.  Si sapeva già che era possibile separare l’immunosoppressione dall’effetto desiderato in questo caso, ovvero quello inibitorio sulle ciclofiline, che è anche alla base della protezione nelle malattie del collagene VI attraverso la ciclofilina mitocondriale. Nel caso dell’HIV si tratta di un’altra ciclofilina che si trova nel citoplasma, ma l’importanza risiede nel fatto che tutte le ciclofiline reagiscono con questi derivati non immunosoppressori.

La Debiopharm aveva prodotto dunque questo farmaco per sperimentarlo in un trial con pazienti HIV, salvo scoprire che gli stessi pazienti avevano tutti anche l’epatite B o C. Lo studio dimostrò una certa efficacia del farmaco nei confronti dell’HIV, ma non quanto le terapie già in uso con inibitori dei retrovirus. Invece, sorprendentemente, curava specificamente l’epatite C! Nel 2007, fu quindi fatto da Novartis un trial su pazienti con HCV ovvero con epatite C con ottimi risultati, che però vennero sopravanzati da una nuova scoperta ovvero dall’inibitore della proteasi virale diventato lo standard per la terapia dell’epatite C.  Questo ha portato ad abbandonare l’indicazione terapeutica di Alisporivir per l’epatite C e, nel 2015, ha rilanciato il suo uso potenziale nella terapia delle malattie del collagene 6.

Questa vicenda per noi è stata tutto sommato positiva, nel senso che sono state completate le fasi e tutti i controlli di safety che ci permettono ora di sperimentarla per il collagene 6. Adesso siamo in una situazione ottimale per poter fare la sperimentazione.

  • Puoi farci un commento sulla terapia genica per le malattie neuromuscolari? Cosa ne pensi?

Dalle ultime scoperte, ho letto cose straordinarie. Dobbiamo però pensare a dove stanno le proteine “malate” e in che tipo di cellule è possibile la terapia genica. Nel caso del Collagene 6 sarebbe necessario  ricostruire tutta la rete globale che si forma alla nascita. Questo è molto complesso. Rimpiazzare una proteina extracellulare stabile, soprattutto quando hai delle varianti, è una sfida difficilissima. In altre patologie comunque sono stati raggiunti progressi notevoli, soprattutto per cellule che hanno un vita breve ed un elevato potenziale rigenerativo, come i precursori dei globuli rossi ma anche epiteli colpiti per esempio dalla fibrosi cistica. 

Nel caso del collagene 6 e della matrice extracellulare il caso è molto più complesso. Il muscolo è in una situazione intermedia perché si sa che può rigenerare, infatti una delle speranze è di sostituire le cellule satelliti in modo che diano origine a cellule normali. La questione è che il difetto del collagene 6 è fuori dal muscolo. Ma come facciamo a sostituire il collagene 6? Geneticamente è difficile perché dovresti ricostruire la trama intorno al muscolo nella sua interezza. Per questo io trovo poco lungimirante che non si sostengano i tentativi di terapie di tipo farmacologico quando esistono. Penso ad esempio a molecole somministrabili che vadano ad agire sul muscolo come se fossero Collagene 6 o, come nel caso di Alisporivir, che aiutino a prevenire gli effetti negativi della mancanza del collagene 6 sui muscoli.

Lascerò in eredità delle molecole nuove, che in vitro sono ancora più efficaci di Alisporivir e che spero in futuro possano venire usate per fare una terapia combinatoria.  Le molecole (TR001 e TR002; TR viene da triazolo perché questo gruppo è stato utilizzato per aumentare la stabilità della molecola, che in origine era stata ottenuta da me e dal professor Forte in un progetto finanziato dal NIH-National Institute of Health), sono delle molecole che inibiscono il poro di transizione della permeabilità mitocondriale. Hanno dato ottimi risultati in cellule e in modelli di zebrafish (vedi articolo) sia di malattia del collagene 6 che della distrofia di Duchenne (vedi articolo). Il progetto è di valutarne l’efficacia nei modelli murini di queste malattie. Il target è sempre il poro, come nel caso dell’Alisporivir-Debio 025.

Il prossimo step sarà trovare qualcuno che ci finanzi per creare un’iniziativa biotecnologica e a questo potrei dedicarmi anche dopo la pensione! Avrò mano libera come agente di me stesso per lo sviluppo del farmaco.

 

Professor Paolo Bernardi, bernardi@bio.unipd.it 

In quanto professore esperto del collagene 6 della nostra Commissione Medico-Scientifica (non so se lo sapevi ma accettando questa intervista hai dato il consenso alla tua nomina nella CMS dell’Associazione col6), vogliamo assolutamente che tu ci tenga aggiornati sui prossimi progetti soprattutto sulle molecole TR001-002. 

Ti ringraziamo di cuore, Professor Paolo Bernardi, per il tempo dedicato a questa intervista e per il prezioso contributo alla ricerca scientifica fatta finora. Il tuo lavoro ha avuto e continuerà ad avere un impatto significativo sulla comprensione e il trattamento delle malattie neuromuscolari.

Ti auguriamo il meglio per la sua nuova fase di vita e per i suoi futuri progetti di ricerca.