Dagli animali modello ai pazienti: uno sguardo a 360° sul trattamento delle patologie da deficit di Collagene VI.

Report del V raduno pazienti-medici-ricercatori organizzato dalla neonata Associazione Collagene VI Italia ONLUS.

A cura di Ilaria Gregorio, Valentina Tonelotto, Silvia Castagnaro, Matilde Cescon, Martina Chrisam e Paolo Bonaldo.

Sabato 30 settembre 2017 si è tenuto il quinto incontro tra i pazienti appartenenti alla neonata “Collagene VI Italia Onlus”, clinici e ricercatori. L’incontro, svoltosi presso il Centro Katia Bertasi di Bologna, è stato caratterizzato in mattinata dagli interventi dei ricercatori e dei medici che lavorano nel campo delle malattie da deficit di Collagene VI ed a stretto contatto con i pazienti, nonché del presidente della UILDM Marco Rasconi e di Anna Ambrosini, responsabile Telethon dell’area programmi di ricerca. Nel pomeriggio è stata poi indetta la prima assemblea dei Soci dell’Associazione Collagene VI Italia Onlus. Vediamo ora in dettaglio gli argomenti medico-scientifici che sono stati trattati nel corso dell’evento.

Il primo a prendere parola è stato il Prof. Paolo Bernardi, dell’Università di Padova, che ha trattato la questione dei mitocondri nelle malattie da Collagene VI. I mitocondri, le ben note “centrali energetiche” della cellula, funzionano male in carenza di Collagene VI; di conseguenza, una delle possibili strategie terapeutiche è proprio quella di agire farmacologicamente sul mitocondrio per bloccare la progressione della patologia. Bernardi ha dunque spiegato come il NIM811 sia in grado di ripristinare la funzionalità dei mitocondri nei melanociti (cioè alcune delle cellule che si trovano nella pelle) dei pazienti, che, pur non essendo cellule muscolari, ne rispecchiano il difetto mitocondriale. Bernardi ha anche mostrato che lo stesso farmaco dà buoni risultati anche quando somministrato a un modello animale, il pesce zebra o zebrafish, in cui la produzione di Collagene VI viene temporaneamente ridotta per mimare le patologie da carenza di Collagene VI. Bernardi ha concluso il suo intervento con la speranza che il NIM811 venga al più presto reso disponibile per il trattamento delle malattie da Collagene VI. 

Successivamente è stata la volta della Dott.ssa Matilde Cescon, ricercatrice nel laboratorio del Prof. Paolo Bonaldo presso l’Università di Padova, che ha esposto i suoi dati più recenti relativi alla funzione del Collagene VI nelle “giunzioni neuromuscolari”. Queste strutture si trovano nel punto di contatto tra i nervi e i muscoli scheletrici, e consentono di trasformare l’ordine di muoversi proveniente dal cervello in una contrazione tangibile del muscolo. Per poter svolgere questa funzione, i nervi producono una piccola molecola che si chiama acetilcolina, e la riversano al proprio esterno in corrispondenza delle giunzioni neuromuscolari, in uno spazio molto ristretto noto come “fessura sinaptica”. Da qui l’acetilcolina può viaggiare, attraverso un sottile strato di matrice extracellulare, fino a raggiungere la superficie esterna delle fibre muscolari. L’arrivo di acetilcolina sulla superficie delle fibre muscolari causa una rapida cascata di eventi che culmina nella contrazione del muscolo. Cescon ha riportato la propria recente scoperta che il Collagene VI fa parte delle molecole di matrice extracellulare presenti nella fessura sinaptica, ed ha descritto inoltre i difetti delle giunzioni neuromuscolari che ha osservato nei topi modello privi di Collagene VI. Questa scoperta è ulteriormente supportata da dati che Cescon ha ottenuto in collaborazione con alcuni medici, studiando le giunzioni neuromuscolari di pazienti affetti da deficit di Collagene VI. Questa osservazione è estremamente importante, perché mostra per la prima volta un nuovo aspetto da tenere in considerazione per il benessere dei muscoli nei pazienti affetti dalle malattie da Collagene VI, fornendo quindi nuovi spunti per potenziali terapie mirate alla giunzione neuromuscolare.

Successivamente la Dott.ssa Valentina Tonelotto, dottoranda nel laboratorio del Prof. Bonaldo, ha introdotto il lavoro finora condotto per generare un nuovo modello animale per le patologie dovute a deficit di Collagene VI, spegnendo completamente e stabilmente la produzione di questa proteina nello zebrafish. Questo animale presenta innumerevoli vantaggi per lo studio degli effetti della mancanza di Collagene VI sull’organismo durante lo sviluppo embrionale, in quanto la fecondazione avviene normalmente nell’ambiente esterno e le larve sono completamente trasparenti. L’adozione di zebrafish come modello per le patologie genetiche è sempre più frequente nella comunità scientifica mondiale, per la facilità di esecuzione e la scarsa invasività degli esperimenti. Innanzitutto Tonelotto sta cercando di capire in quali organi e tessuti dello zebrafish si trovi il Collagene VI, per capire dove eserciti un ruolo fondamentale nel mantenimento di una corretta funzionalità. Inoltre, all’interno del laboratorio, sono stati generati degli zebrafish privi di Collagene VI, sfruttando un sistema di “forbici molecolari” denominato CRISPR-Cas9 che permette di tagliare in modo specifico il pezzetto di DNA che fornisce istruzioni per costruire il Collagene VI. I primi dati indicano che questi pesci presentano dei difetti sia nei muscoli che nelle cartilagini, e sono in corso studi per approfondire quali organi del pesce e processi intracellulari siano difettosi in assenza di Collagene VI. Questi studi consentiranno quindi di fare nuova luce sui meccanismi molecolari che sottendono le malattie da Collagene VI, avendo un nuovo modello animale per la sperimentazione di possibili terapie, e rappresentano quindi un passo in avanti verso la loro comprensione ed il loro trattamento. 

È quindi intervenuta anche la ricercatrice Dott.ssa Manuela Antoniel, che lavora insieme alla Dott.ssa Patrizia Sabatelli presso l’Istituto Ortopedico Rizzoli a Bologna, per descrivere gli ultimi risultati sul progetto finanziato nell’ambito del programma internazionale “Collagen VI Alliance” in corso a Bologna. In particolare Antoniel ha descritto i modelli cellulari a bassa invasività che si stanno studiando per verificare se siano adatti alla diagnosi ed allo studio delle patologie del Collagene VI, che permettano in futuro di ridurre la necessità di ricorrere a dolorose biopsie muscolari per i pazienti. Questi modelli sono: i melanociti ottenuti dalle biopsie di pelle, che rispecchiano molte caratteristiche presentate dalle cellule muscolari prive di Collagene VI, come il difetto mitocondriale, e le cellule staminali ottenibili dalle urine. In particolare queste ultime risultano molto interessanti per la loro semplice reperibilità e per la possibilità di essere cresciute in coltura, e saranno in futuro studiate meglio. Sabatelli ed Antoniel hanno anche invitato chi fosse interessato dei presenti a contribuire fornendo un campione di urine, per permettere loro di continuare a raccogliere dati per questo entusiasmante progetto.

Le Dott.sse Silvia Castagnaro ed Ilaria Gregorio, rispettivamente post-doc e dottoranda del gruppo del Prof. Bonaldo, nel loro intervento non hanno discusso di dati scientifici, ma hanno voluto rispondere a una domanda che i presenti spesso si sono fatti, ovvero “cosa vuol dire fare ricerca?”. Castagnaro ha spiegato come si struttura un gruppo di ricerca, dai dottorandi ai ricercatori; cosa sono le pubblicazioni e quanto sono importanti affinché un gruppo possa ottenere finanziamenti per lavorare e poter pagare i reagenti, i servizi e gli strumenti necessari a fare ricerca. Successivamente, hanno esposto i progetti più recenti ideati dal team Bonaldo, mirati all’individuazione di nuove terapie per le malattie da Collagene VI. Il primo ha lo scopo di capire precisamente quali “porzioni” di Collagene VI medino le sue diverse funzioni (ad esempio, l’induzione di autofagia). Una volta compreso ciò, l’idea è quella di produrre frammenti di Collagene VI “sani”, che sostituiscano, nelle cellule dei pazienti affetti da malattie del Collagene VI, le porzioni di molecola mutate. In questo modo, si potrà in futuro pensare di realizzare trial clinici quasi personalizzati, in cui le mutazioni potranno essere compensate in modo mirato. Un altro progetto presentato è quello che vede l’uso della spermidina, che in topi carenti di Collagene VI è in grado non solo di indurre l’autofagia nei muscoli, ma anche di migliorare la condizione dei mitocondri. Tuttavia, il meccanismo d’azione della spermidina non è ancora noto. Questo progetto ha quindi lo scopo di scoprire quali siano i meccanismi che permettono alla spermidina di indurre l’autofagia utilizzando diversi modelli, come lo zebrafish e le cellule in coltura. Una volta determinato ciò, si procederebbe ad individuare metodi non invasivi per valutare l’induzione di autofagia negli animali modello, ad esempio tramite prelievo di sangue. In questo modo, quindi, sarebbe possibile anche nei pazienti, valutare lo stato autofagico in seguito a trattamento con spermidina in modo sicuro, continuativo e non doloroso.

Un altro importante aspetto è stato preso in considerazione dal Dott. Andrea Fabiani, che ha introdotto il problema dello pneumotorace. Innanzitutto, Fabiani ha spiegato di cosa si tratta: i nostri polmoni sono degli organi molto elastici, che devono essere mantenuti espansi, altrimenti non potrebbero far transitare l’aria al loro interno. Per questo motivo, i polmoni sono “incollati” alle pareti interne della cassa toracica grazie a delle membrane, chiamate “pleure”. Se, per qualche ragione, ad esempio un trauma, le pleure si scollano dalla cassa toracica, il polmone perde la capacità di rimanere espanso, e collassa su sé stesso, a causa della sua natura elastica. Questo evento prende il nome di pneumotorace, ed in questa condizione il paziente non è in grado di respirare correttamente. Fabiani ha ricordato che questa patologia è estremamente pericolosa, e se sottovalutata può risultare addirittura mortale. Tuttavia ha ricordato che la diagnosi di pneumotorace è facile da eseguire, e che la terapia consiste semplicemente nell’aspirare il gas ripristinando la funzionalità delle pleure. 

Dal momento che le malattie da Collagene VI potrebbero effettivamente predisporre maggiormente allo pneumotorace, Fabiani ha sollecitato i presenti a informarlo di eventuali casi di pneumotorace non ancora riportati nella letteratura medica, perché potrebbero mettere in luce un’importante manifestazione della malattia rimasta finora ignota. Non solo: se i pazienti con malattie da Collagene VI rischiano maggiormente di andare incontro a pneumotorace, significa che questo problema deve imperativamente essere considerato, ad esempio in caso di interventi chirurgici o anche piccoli incidenti. Questo aspetto è stato ribadito anche dall’anestesista Dott.ssa Mariada Perrone, che ha ribadito l’importanza di una corretta informazione dei medici e anestesisti che si occupano dei pazienti affetti da queste patologie, per prevenire eventi inattesi e spiacevoli in sala operatoria.

Facendo tesoro delle informazioni emerse durante questo incontro, attendiamo con entusiasmo il prossimo evento.